domenica 18 marzo 2012

"Non è un paese per giovani"

Ultimamente si sente un gran parlare della crisi: c'è chi dice che sta per finire e chi sostiene che siamo solo all'inizio. È chiaro però che c'è qualcosa che non va.....

Ma come ci siamo arrivati? E sopratutto come mai, di fronte a contratti di lavoro ridicoli, disoccupazione e inoccupazione giovanile crescente, nessuno fa nulla?
Per cercare di risolvere questo rebus, come sempre, ci viene in aiuto un libro scritto in modo magistrale, con stile semplice e avvincente. Parlo del libro "Non è un paese per giovani. L'anomalia italiana: una generazione senza voce" di Alessandro Rosina.
Il libro comincia citando una riflessione di Berselli: "A lungo si è detto che con il debito pubblico stavamo ipotecando il futuro dei nostri figli. Evidentemente non bastava: noi siamo fatti così, le nuove generazioni ci piace rapinarle". 
La generazione "rapinata" è quella dei giovani, che dopo anni di sacrifici e studi si buttano sul mondo del lavoro vedendo attorno a loro una amara e triste realtà: crisi e degrado ed un "muro di gomma".
Crisi economica e degrado, perché nell'era dello spreco precedente, "tutti i settori sono pieni di gente messa dentro più o meno a caso [...]senza rapportare le assunzioni alle reali necessità e sopratutto senza differenziare gli incapaci dai capaci"......Oltre a questo, di fronte ad una crisi grossa, quando i datori di lavoro si sono trovati alle strette la scelta più facile  fatta è stata quella di scegliere "tra lavoratori con un certo tipo di tutele e altri con,  o senza altri tipi di protezioni". E dato che ormai chi era dentro, era dentro, si è deciso di far scontare tutto su chi era fuori, i giovani appunto, depredandoli di diritti e sogni.
E così cresce sempre di più il numero di coloro i quali si arrendono e smettono addirittura di cercare: l'indice NEET cresce inesorabilmente. Aumentano sempre di più, cioè,  coloro che sono nello stato di  Not in Employment, Education and Training, ovvero ragazzi che non lavorano, non studiano e non si sottopongono a una formazione professionale.


I giovani, quelli che, secondo Karl Mannheim,  dovrebbero essere "quel centro in cui nasce il nuovo" stanno zitti e fermi. Ognuno per sé,  incapaci di lottare insieme.
Perché di fronte alla precarietà ogni lotta si azzera.
E mentre Giuseppe Mazzini all'età di 26 anni fondò la Giovine Italia, la Giovane Italia di oggi resta in attesa, incapace di segnare una vera svolta e di iniziare una nuova più efficace rivoluzione sociale.
Cominciare intanto a capire come sono andate le cose è forse un primo passo per provare a cambiare. 
"Se i giovani trentenni risultano essere la prima generazione a trovarsi in prospettiva a vivere relativamente peggio dei loro padri, i ventenni hanno almeno il vantaggio di potersi preparare per tempo e a vivere in una società costruita per penalizzarli". Possono accettare tutto questo, oppure no.

Come sempre buona lettura

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