mercoledì 13 febbraio 2008

Dentro lo spitito di Euterpe

L'IDEALE DELL'OTIUM LETTERARIO..........................

Dimmi, o padre, quanto valuti tu questi beni che sono alla portata di tutti: vivere come vuoi, andare dove vuoi, stare dove vuoi, riposare di primavera sopra un giaciglio di fiori purpurei, d'autunno tra mucchi di foglie cadute; ingannare l'inverno con lo starsene al sole, l'estate con l'ombra e non sentire ne l'una ne l'altra stagione se non fin dove tu vuoi? Ma in ogni stagione essere padrone di te, e, dovunque ti trovi, vivere con tè stesso, lontano dai mali, lontano dall'esempio dei cattivi, senza essere spinto, urtato, influenzato, incalzato; senza essere trascinato a un banchetto mentre preferiresti aver fame, costretto a parlare mentre brameresti star zitto, o salutato in un momento inopportuno, o afferrato e trattenuto agli angoli delle strade e, secondo i dettami di un'educazione grossolana e sciocca, messo tutto il giorno in berlina a osservare chi ti passa dinanzi: chi ti guarda ammirandoti come una rarità, chi arresta il passo quando t'incontra, chi curvandosi si accosta al compagno e gli sussurra non so che nell'orecchio sommessamente, oppure chiede di te a quelli in cui s'imbatte; chi ti spinge tra la folla dandoti fastidio, o ti cede il passo dandoti ancor più fastidio; chi ti porge la mano, chi se la porta al capo; chi si appresta a farti un lungo discorso quando c'è poco tempo, chi ammicca senza parlare e passa avanti stringendo le labbra. Quanto valuti, infine, non invecchiare tra i fastidi, non premere sempre ed esser premuto fra uno stuolo di salutatori, non aver mozzo il respiro, ne sudare in pieno inverno colpito da tristi esalazioni; non disimparare l'umanità in mezzo agli uomini e, infastidito, prendere in odio ogni cosa, gli uomini, gli affari, coloro che ami, te stesso? Non dimenticare le cose che ti stanno a cuore per dedicarti a molte che non ti fanno piacere? [...]
Frattanto, stare come in un posto di vedetta, osservando ai tuoi piedi le vicende e gli affanni degli uomini, e vedere ogni cosa - e particolarmente te stesso - passare con tutto l'universo; e non dover sopportare le molestie di una vecchiaia furtivamente insinuantesi, prima di averne sospettato l'appressarsi (questo accade a tutte le persone indaffarate), ma vederla molto tempo prima, e prepararle un corpo sano e un animo sereno. Sapere che questa non è la vita, ma l'ombra della vita; un albergo, non una casa; una strada, non la patria; una palestra, non una stanza. Non amare ciò che è transitorio e desiderare ciò che rimane: ma finché quello ci è accanto, sopportarlo in pace. Ricordar sempre di essere mortali, cui tuttavia è stata assicurata l'immortalità. Far andare indietro la memoria, vagabondare con l'animo per tutti i tempi, per tutti i luoghi; fermarsi qua e là, e parlare con tutti quelli che furono uomini illustri; dimenticare così gli autori di tutti i mali che ci sono accanto, talvolta anche noi stessi, e spinger l'animo tra le cose celesti, innalzandolo al di sopra di sé; meditare su ciò che lì accade, accendere con la meditazione il desiderio, ed esortare per converso te stesso, accostando al tuo cuore già in fiamme le fiaccole, per così dire, delle parole ardenti.
È questo un frutto — e non è l'ultimo - della vita solitaria: chi non l'ha gustato non l'intende. Frattanto - per non tacere di occupazioni più comuni - dedicarsi alla lettura e alla scrittura, alternando l'una come riposo dell'altra, leggere ciò che scrissero gli antichi, scrivere ciò che leggeranno i posteri, a questi almeno, se a quelli non possiamo, mostrare la gratitudine dell'animo nostro per il dono delle lettere ricevuto dagli antichi; e verso gli antichi stessi non essere ingrati nei limiti che ci sono consentiti, ma render noti i loro nomi se sconosciuti, farli ritornare in onore se caduti in dimenticanza, trarli fuori dalle macerie del tempo, tramandarli alle generazioni dei pronipoti come degni di rispetto, averli nel cuore, averli sulle labbra come una dolce cosa; in tutti i modi insomma, amandoli, ricordandoli, esaltandoli, render loro un tributo di riconoscenza, se non proporzionato, certo dovuto ai loro meriti.
(tratto dal I libro del de vita solitaria)
Francesco Petrarca

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